Klimt e l’oro della seduzione Sara Cifarelli 22/06/2022

Klimt e l’oro della seduzione

La fortuna artistica di Gustav Klimt non segue un percorso lineare, in un periodo storico a cavallo tra Ottocento e Novecento, tra simbolismo e modernismo, conosciuto nei paesi nordici col nome di Jugenstil, definita forse la più pura forma espressiva vicina alla natura per il motivo del colpo di frusta introdotto dal teorico inglese William Morris.

Una storia la sua, lontana dai grandi movimenti artistici, nel panorama austriaco della Secessione Viennese, innovatore e leader, seppur con le sue controversie, per moltissimi giovani creativi, studiosi, passionali. Dal temperamento introverso, timido, schivo, un individuo polemico e provocatorio, caratteri rispecchianti la sua arte per un erotismo dichiarato e per le rare e penetranti forme intinte nell’oro. L’oro della seduzione potremmo definirlo, ove languide Veneri accedono al piacere del corpo in pose esplicite, nell’atto dell’Eros o ancora solenni e composte come Atene munite di elmo e scudi.

Le donne restano il tema prediletto. Ma cos’era per lui la donna quindi?

Era nato a Baumgarten, il 14 luglio 1862, in anni in cui la donna non più appendice dell’uomo, attraverso le teorie psicanalitiche era socialmente percepita come una creature dai tratti enigmatici, tanto sensuale e pericolosa quanto inafferrabile, la Femme Fatale. Klimt leggeva i libri di Nietzsche, consultava L’interpretazione dei sogni di Freud o il Faust di Goethe. I suoi rapporti tormentati con le donne testimoniavano l’idea che per lui l’uomo e la donna non sarebbero mai riusciti a comprendersi e a fondersi, nel corpo e nell’anima, appartenendosi col rischio di soccombere. Emilie venne rappresentata ne Il bacio, la donna che non ebbe il coraggio di amare per i suoi sbagli, a differenza della madre, l’unica della quale non ebbe paura per affetto e ammirazione riconoscendone i sacrifici volti al bene della famiglia. Probabilmente l’opera Musica allude proprio alla madre, un emblema di armonia ed equilibrio, ove è rappresentata una donna che suona una cetra d’oro con capelli color fiamma e incorniciati da un filo dorato. Una sagoma contrapposta nella sua impressionante purezza, da una maschera demoniaca di un Sileno e una sfinge. “Perché?” – lei gli chiese – e lui restò in silenzio nella convinzione che neppure l’oro dell’arte può frenare la morte, e che i concetti di bellezza e verità si diffonderebbero invano nell’universo, poiché nulla possono contro il tragico e oscuro destino dell’uomo.

Ma da dove nasce l’accostamento dell’oro e perché è stato un elemento sempre così presente nella sua arte?

Secondo di sette figli e di umili origini, suo padre proveniva da una famiglia di contadini boemi, un orafo ed incisore specializzato nella decorazione di piastrelle e dal quale Klimt ereditò l’amore per l’artigianato e la preziosità dei materiali. La madre rinunciò a diventare una cantante scegliendo di dedicarsi alla famiglia come lavascale maledicendo ogni sera la nascita dei figli davanti al marito ubriaco, non per odio ma per l’impossibilità di dar loro una vita più accomodante. Klimt e il fratello Ernst aiutarono il padre nel lavoro trascorrendo le poche ore libere a rielaborare con paesaggi e colori le fotografie di bottegai, artigiani, prostitute. La rispettabilità borghese sfogava i desideri proibiti nei lussuosi saloons nel quartiere di Graben o oltre il Danubio. Catapultato sulle strade della sbilenca e malfamata periferia viennese, cresciuto libero e indipendente, Klimt ne aveva assorbito l’amaro disincanto.

L’Italia fu una tappa fondamentale per la maturazione del suo linguaggio, un viaggio alla scoperta degli straordinari mosaici bizantini di Ravenna e Venezia ammirandone il minuto accostamento delle tessere vitree e le ampie superfici bidimensionali decorate a elementi geometrici, poi riproposte in una razionalità compositiva rivisitata nei dipinti femminili impreziositi da accessori e lunghi strascichi variopinti. Ogni donna consapevole nella sua sensualità, è portavoce di storie legate all’universo immaginifico dell’autore. Nessuna tridimensionalità, né indagine psicologica per la scelta di far conciliare il realismo volumetrico dell’incarnato con l’astrattismo geometrico dell’oro come nel ritratto di Adele Bloch-Bauer ove, come un gioiello, le poche parti incarnate si perdono in un puzzle splendente.

Klimt dipinge la donna del suo tempo – dichiara Berta Zuckerkandl nel 1907 – la sua struttura fisica, l’immagine del suo corpo, la plasticità della sua carne, la meccanica dei suoi movimenti, tutto ciò Klimt ha sempre indagato fin nella sua più segreta fibra imprimendolo nella sua memoria. Egli varia il tema femminile nei suoi diversi rapporti con il creato e con la natura. Crudelmente voluttuose o serenamente sensuali, le donne che dipinge possiedono un inquietante fascino. Il tono cangiante dei loro corpi elastici, lo splendore fluorescente della pelle, il taglio angoloso della testa dalla fronte ampia e i capelli rossi e peccaminosi hanno una risonanza profondamente psicologica. Klimt risolve il corpo in magnifiche linee ornamentali come fosse una figura ideale. Ogni tratto ideale viene rimosso e quel che resta è solo la tipicità pura, la sublimazione della donna moderna.

In copertina

Gustav Klimt, Music, oil on canvas, 1895.

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